Posti in piedi in paradiso

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Ma®shall™
view post Posted on 21/3/2012, 16:49






Per capire l'aria che si respira in Posti in piedi in paradiso possiamo partire dai nomi dei tre protagonisti, coinquilini per forza al costo di duecentocinquanta euro al mese. Se consideriamo, con l’aiuto di un pizzico di immaginazione, che l'ex produttore discografico Ulisse Diamanti non ha né il fiuto dell’ideatore del cavallo di Troia né le pietre preziose del suo cognome, che l'ex imprenditore Domenico è "Segato" sia di nome che di fatto, e che il nome dell'ex critico cinematografico Fulvio Brignola ricorda il più abbiente ma non meno tristemente borghese Furio di Bianco, rosso e Verdone, ci rendiamo conto che è di uomini senza qualità che si parla. E di crisi economica.
Di crisi economica e di una categoria di squattrinati contro cui il nostro tempo e il nostro sistema giudiziario sembrano essersi accaniti: i padri separati. Senza esplicite prese di posizione, ma con uno sguardo che non tradisce più la sua abituale fascinazione nei confronti di un femminile imperscrutabile, Carlo Verdone sfodera i suoi artigli da gattone e dissacra veri e falsi miti squisitamente contemporanei, a cominciare dalla proverbiale carità cristiana e dalla cieca fiducia in uno stato assistenzialista.
Come i padri della grande commedia all’italiana, da Steno a Scola passando per Monicelli, riesce poi nella encomiabile missione di rendere divertenti, a volte perfino spassose, situazioni di cui non c’è nulla da ridere. Il miracolo avviene grazie all’escamotage di costringere in un unico luogo, fatiscente, rumoroso e parzialmente coperto dalle reti di telefonia mobile, tre uomini che in una vita senza debiti e pasti saltati non si sarebbero frequentati mai e poi mai. Minati nella propria mascolinità dall’assenza di quel denaro che permetterebbe loro di offrire la cena a una bella ragazza o di non girare con i calzini bucati, acquistano spessore comico sia facendo l’uno da contrappunto alle goffaggini degli altri, sia alleandosi in rocambolesche imprese ai limiti della legalità in perfetto stile I soliti ignoti.
Senza svelare altro di un film pieno di scene gustose, ci teniamo però a dire che docce mal funzionanti e montagne di panini intascati segretamente non scatenerebbero ilarità se dietro queste piccole miserie non ci fossero dei “mostri” come Pierfrancesco Favino, Marco Giallini e un Carlo Verdone che, pur diventando l’anima saggia del film, sceglie di rimanere in sordina.
Il suo personaggio, che del regista incarna la più inquietante nevrosi (l’ipocondria) e la più grande passione (la musica), lascia infatti che a fare la parte del guascone sia il gigolo per necessità Marco Giallini, straordinario nella sua arte di arrangiarsi, nel suo autentico accento romanesco e nel suo look marinaresco senza tempo.
E’ lui il grande mattatore di Posti in piedi in Paradiso, anche se il primato di figura più dolente va senza dubbio al cinéphile duro e puro Pierfrancesco Favino, costretto a ripiegare sugli articoli di gossip e a ostentare un’amicizia con Gabriele Muccino per conquistare una giovane starlette.
Per lui e per i suoi flat-mate Verdone non ha per fortuna in mente un avvenire totalmente sventurato. Sarebbe troppo.
Una speranza - ci avverte il regista - esiste: è nei figli, unici esseri capaci di riabilitare la dignità perduta dei padri e di colmare quel vuoto affettivo che rende questi ultimi un po’ meschini. Sono le persone giovani, insomma, e con loro le donne dal cuore grande come Gloria, la cardiologa bisognosa d’amore interpretata da Micaela Ramazzotti, la salvezza del nostro cinico, ingiusto e disumano mondo. Posti in piedi in paradiso lo dice con un candore e una semplicità che potremmo scambiare per melensaggine e retorica se non sapessimo quanto Carlo Verdone creda nelle nuove generazioni, che in ogni sua storia puntualmente confronta con adulti aridi e opportunisti.
Il messaggio solo in apparenza buonista del film non deve comunque trarci in inganno. Nonostante le redenzioni, una volta arrivati in paradiso, Ulisse, Domenico e Fulvio non sentiranno subito gli angeli cantare. A differenza dei poveri di Miracolo a Milano (citato in una scena del gioco dei mimi), che a cavallo di una scopa andavano in cielo, i nuovi poveri della ventiquattresima fatica di Carlo Verdone dovranno restare in piedi. Forse un giorno riusciranno a sedersi, a patto che, nel grande autobus dell’Onnipotente, i più buoni si stringano oppure i meno buoni capiscano che è ora di farsi un giretto in purgatorio.
 
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